Muoversi 4 2021
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“FIT FOR 55”: SERVE UNA CORREZIONE DI ROTTA

“FIT FOR 55”:

SERVE UNA CORREZIONE DI ROTTA

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente

Unione Energie per la Mobilità - unem

Lo scorso 14 luglio la Commissione europea ha presentato il Pacchetto “Fit for 55” che ha l’ambizione di far diventare l’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista climatico: un insieme di misure regolamentari (in tutto 13) che dovrebbero portare, come step intermedio, ad una riduzione delle emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990. Un’iniziativa che, va detto, non ha ottenuto un consenso unanime tra gli stessi Commissari, a partire da quello al Bilancio, l’austriaco Johannes Hahn, che si è lamentato della scarsa chiarezza sulle risorse finanziarie con cui realizzare le diverse misure. Stando a quanto ha riportato l’agenzia Euractiv, molti Commissari si sono altresì lamentati per il poco tempo avuto a disposizione per esaminare i documenti prima della presentazione ufficiale e per il metodo di lavoro adottato da Ursula von der Leyen. Il Presidente della Commissione Ambiente del Parlamento europeo, il francese Pascal Canfin, ha addirittura parlato di “suicidio politico”. Non sono poi mancate le critiche dei principali schieramenti politici sui possibili impatti sociali ed economici.

Il dibattito pubblico invece è tutto incentrato su come incrementare la domanda di energia elettrica (elettrificazione totale dei consumi), costi quel che costi. In altre parole, siamo impegnati a consumare qualcosa che non sappiamo ancora come produrre in quantità sufficienti ed a prezzi sostenibili

E forse proprio da quest’ultima preoccupazione bisognerebbe partire perché, come credo sia ormai opinione condivisa, quando si parla di sostenibilità non si può intenderla solo dal punto di vista ambientale, ma è necessario considerarne tutte le implicazioni. In altre parole, occorre essere chiari su come saranno distribuiti i costi di una trasformazione così radicale e su come verranno misurati i benefici dei singoli provvedimenti altrimenti si rischia di alterare gli equilibri economici e sociali del nostro continente senza produrre risultati effettivi. Un primo assaggio delle possibili conseguenze di provvedimenti privi delle dovute verifiche di sostenibilità si è avuto in queste ultime settimane, con l’improvvisa impennata dei prezzi di molte materie prime energetiche, soprattutto del gas, che ha suscitato non poche preoccupazioni.

Sulla cause che hanno spinto così in alto i prezzi del gas – che in Europa hanno raggiunto la quota record di 70 €/MWh, circa 7 volte in più del settembre dello scorso anno, con punte di oltre 200 €/MWh in Italia – e dunque della bolletta elettrica, le spiegazioni sono state le più diverse.  Al di là delle analisi specifiche, credo tutto ciò sia per molti versi paradigmatico di quello che potrebbe riservarci il futuro se non gestiamo con estrema attenzione una transizione che avrà ancora bisogno per molti anni delle fonti fossili perché, come ha rilevato il Direttore esecutivo dell’Aie, Fatih Birol, “i legami tra i mercati dell’elettricità e del gas non scompariranno presto e anche se con l’avanzare della transizione la domanda globale di gas inizierà a diminuire, resterà una componente importante per la sicurezza del sistema elettrico”. Altrettanto si potrebbe dire per il petrolio nei trasporti.

Continuo infatti a ritenere che la vera sfida sia quella di produrre sempre più energia da fonti rinnovabili a prezzi competitivi e per questo è necessario incrementare le risorse in ricerca e sviluppo. Il dibattito pubblico invece è tutto incentrato su come incrementare la domanda di energia elettrica (elettrificazione totale dei consumi), costi quel che costi. In altre parole, siamo impegnati a consumare qualcosa che non sappiamo ancora come produrre in quantità sufficienti ed a prezzi sostenibili.

Partendo da questi assunti, è perciò lecito domandarsi se le politiche europee in materia di clima ed energia rispondano a queste preoccupazioni o se ci espongano a rischi che i policy maker non hanno valutato sufficientemente nella loro complessità. Da questo punto di vista, il Pacchetto “Fit for 55”, per quanto sia ancora una proposta che dovrà passare al vaglio sia del Consiglio che del Parlamento europeo nell’ambito di un processo chiamato “trilogo”, offre diversi spunti di riflessione non tanto per quanto riguarda l’obiettivo finale, quanto per il percorso delineato.

Parlando di mobilità, uno degli aspetti più critici è sicuramente la proposta di modifica del Regolamento sugli standard emissivi della CO2 per il trasporto stradale (autovetture e furgoni) che prevede una riduzione dei limiti oggi in vigore (95 g/km) del 55% al 2030 e del 100% al 2035. Il punto è che per misurare le emissioni è stato confermato il sistema “tank-to-wheel”, ossia allo scarico, un sistema tecnicamente sbagliato, che oltre a tradire il concetto di neutralità tecnologica avrà l’unico effetto di eliminare i motori a combustione interna a favore solo delle auto elettriche, alimentando così processi di delocalizzazione di intere filiere strategiche senza vantaggi concreti sulla riduzione delle emissioni climalteranti globali.

Messa in questi termini la misura appare pertanto inaccettabile perché esclude qualunque prospettiva di sviluppo di alternative come i low carbon liquid fuels (LCLF), che, al contrario, avranno nel resto del mondo un ruolo fondamentale per raggiungere la neutralità carbonica in tutti i comparti del trasporto, soprattutto in quelli “hard to abate”, affiancando efficacemente la mobilità elettrica nel trasporto stradale. Bisogna tenere ben presente che si tratta di prodotti che nel loro ciclo di vita consentono un taglio della CO2, rispetto al corrispondente prodotto fossile, che varia funzione della materia prima utilizzata e che con gli e-fuels può arrivare ad oltre il 90%, utilizzabili da subito nel parco circolante senza investimenti ulteriori dal lato delle infrastrutture logistiche e distributive.

Il punto è che per misurare le emissioni è stato confermato il sistema “tank-to-wheel”, ossia allo scarico, un sistema tecnicamente sbagliato, che oltre a tradire il concetto di neutralità tecnologica avrà l’unico effetto di eliminare i motori a combustione interna a favore solo delle auto elettriche, alimentando così processi di delocalizzazione di intere filiere strategiche senza vantaggi concreti sulla riduzione delle emissioni climalteranti globali

C’è poi un problema di coerenza tra le diverse direttive del Pacchetto. Ad esempio, se da un lato la proposta sul metodo di calcolo delle emissioni nel trasporto stradale esclude di fatto i LCLF, dall’altro, quella sulla promozione delle energie rinnovabili nei trasporti (RED III) ne introduce obblighi crescenti per soddisfare un taglio dei GHG del 13% rispetto all’attuale 6%. Ciò vuol dire che un biocarburante con un “GHG saving” dell’80% andrebbe miscelato al 20% per rispettare l’obbligo, cioè il doppio di oggi. Anche in questo caso, di fatto, ci si concentra sul consumo di energia rinnovabile e non sulla sua produzione, con conseguenti rischi di fenomeni di delocalizzazione. Da questo punto di vista, proprio per non rallentare il progressivo sviluppo di carburanti sempre più decarbonizzati e non gravare gli operatori industriali e i consumatori finali di maggiori oneri, occorrerebbe invece prevedere dei meccanismi premiali sia in forma di incentivi, sia di misure di defiscalizzazione della componente bio dei carburanti autotrazione, oggi soggetta alla medesima tassazione dei carburanti con cui sono miscelati, per favorirne la produzione. D’altra parte, anche la proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia riconosce ai LCLF un’impronta ambientale nulla dal punto di vista dei GHG azzerandone l’aliquota.

Ma il punto è che tutto questo sta insieme solo se si abbandona l’approccio “Tank-to-Wheel” a favore di uno “Well-to-Wheel” che misuri le emissioni climalteranti lungo tutta la filiera dei combustibili e si adotti un sistema di crediti basato sull’uso di combustibili decarbonizzati utilizzabili dai costruttori di auto per traguardare i propri target. Ciò permetterebbe di cogliere i vantaggi di soluzioni già pronte e disponibili che rientrano a pieno titolo nel concetto di economia circolare. Oggi invece la normativa, riferendosi esclusivamente alle emissioni allo scarico, incentiva solo le auto elettriche anche se, al momento, gran parte dell’elettricità è prodotta da fonti fossili. Con un sistema di calcolo “Well-to-Wheel” invece si continuerebbero a sviluppare i motori a combustione interna – un’eccellenza industriale italiana ed europea – che, alimentati con prodotti totalmente decarbonizzati, potrebbero essere considerati ad “emissioni zero” al pari delle altre motorizzazioni.

Proprio per non rallentare il progressivo sviluppo di carburanti sempre più decarbonizzati e non gravare gli operatori industriali e i consumatori finali di maggiori oneri, occorrerebbe invece prevedere dei meccanismi premiali sia in forma di incentivi, sia di misure di defiscalizzazione della componente bio dei carburanti autotrazione, oggi soggetta alla medesima tassazione dei carburanti con cui sono miscelati, per favorirne la produzione

Ci sono poi due altri aspetti che meritano particolare attenzione: la proposta di modifica del sistema “Emission trading – ETS” e l’ipotesi di prevedere un “Carbon border adjustment mechamism – CBAM”.  Nel primo caso, è essenziale che non si vada ad incidere sulla competitività delle filiere industriali interessate, soprattutto sulla raffinazione che è particolarmente esposta alla concorrenza internazionale, spesso asimmetrica, ed ha quindi bisogno di misure efficaci contro il rischio di delocalizzazione delle emissioni di carbonio (carbon leakage). Nel secondo, va ricordato che un simile meccanismo presuppone rigorose procedure di controllo o di certificazione dell’intensità di CO2 ascrivibile a qualsiasi manufatto prodotto o importato dalla UE che comporterà oneri piuttosto gravosi comunque necessari per evitare ogni possibilità distorsione del mercato e, anche in questo caso, rischi di delocalizzazione delle attività industriali energy intensive.

Come settore abbiamo scommesso sul futuro e non sul passato ed è per questo che gli interventi sulla legislazione comunitaria in questa fase sono fondamentali per accompagnare la filiera sulla via della decarbonizzazione. La nostra prima preoccupazione, che tutti dovrebbero avere, resta quella di favorire la transizione verso fonti rinnovabili evitando contraccolpi pericolosi in termini economici, sociali e soprattutto di sicurezza energetica.

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